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Cambiamento climatico, gli effetti sull’Italia tra presente e futuro

Dalle Alpi al mare, passando per le colture: un recente studio evidenzia gli effetti del cambiamento climatico sul nostro paese

Mercoledì 30 giugno è stato presentato il primo Rapporto del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA) sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici in Italia. Si tratta di uno studio molto autorevole, portato avanti da 18 tecnici, a loro volta supportati da ulteriori decine di esperti delle Agenzie per la protezione dell’ambiente, di ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e di altri istituti ed enti di ricerca.

Secondo quanto emerge dal rapporto, l’ambiente alpino italiano presenta evidenti tendenze alla deglaciazione, un fenomeno dovuto alle alte temperature estive in combinazione con la riduzione delle precipitazioni atmosferiche invernali. La massa dei ghiacciai è in costante riduzione, e si assiste ad una evidente tendenza al degrado del permafrost. Dallo studio di due siti di Valle d’Aosta e Piemonte emerge un riscaldamento medio di +0,15 °C ogni 10 anni, e la probabilità che si arrivi alla degradazione completa del sito piemontese entro il 2040 viene classificata come “elevata“.

Per quanto riguarda i mari, l’aumento della temperatura delle acque ha provocato una variazione della distribuzione delle specie, con un aumento della pesca di quelle che prediligono temperature elevate, come acciuga, sardinella, triglia, mazzancolle e gambero rosa, che si stanno diffondendo sempre più a nord nei mari italiani. Il riscaldamento delle acque ha penalizzato invece le specie di grandi dimensioni, come il merluzzo, il cantaro, il branzino, lo sgombro e la palamita.

A preoccupare gli esperti sono inoltre gli effetti che l’innalzamento del livello del mare potrà provocare sugli oltre 8mila km di coste italiane. Gli incrementi si attestano nell’ordine di pochi millimetri all’anno, ma risultano costanti e irreversibili. A preoccupare particolarmente gli studiosi è la situazione di Venezia, dove al problema dell’innalzamento del livello delle acque si somma quello dell’abbassamento del livello del terreno. Un mix esplosivo che mette in pericolo la città lagunare. Negli ultimi cinquanta anni il tasso di crescita medio si è attestato sui 2,53 millimetri all’anno, ma se prendiamo in considerazione il periodo che va dal 1993 al 2019 questo aumenta a 5,34 millimetri annui.

Lo studio ha inoltre rilevato evidenze di stress idrico sulle colture (mais, erba medica e vite) prese in esame in siti pilota di Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia. Una carenza idrica che peggiora di decennio in decennio, e che in futuro potrebbe provocare serie conseguenze sui raccolti, con perdite produttive e le conseguenti perdite di natura economica.

Da notare come quanto emerso dallo studio del SNPA risulti pienamente sovrapponibile all’allarme sugli effetti del riscaldamento globale rinnovato recentemente dall’Onu, mediante il nuovo rapporto delle Nazioni Unite sulle conseguenze del cambiamento climatico di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi.

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