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La comunità LGBT+ e la paura della guerra

Lo scempio umanitario causato dalla guerra in Ucraina ha portato significative morti di civili 1,200 all’incirca e al contrario di ogni aspettativa il popolo ha cercato con tutte le forze di difendere il proprio territorio e la propria storia nazione. 

Le donne hanno dimostrato di essere un’ottima resistenza e si sono unite ai loro uomini per dimostrare che l’azione nel riscattare un paese non ha genere, la forza però non risiede solo nel rimanere e combattere ma anche nell’amore verso propri figli, dimostrando coraggio nel decidere di chiudere la propria vita in qualche valigia e migrare verso un futuro migliore. Un viaggio rischioso che al confronto della realtà che sono costretti a vivere sembra rassicurante; apparentemente potrebbe sembrare che la scelta della politica ucraina nel tutelare donne e bambini sia un gesto nobile ed effettivamente lo è, per quanto questa bontà abbia delle sfaccettature che sono state poco considerate e vedono la comunità LGBT+ come principale vittima. L’idea di mandare fuori dal paese i bambini con le proprie madri e lasciare i padri a combattere al fronte è stata una mossa poco inclusiva da parte dello Stato Ucraino che negli anni aveva fatto passi da gigante nel rendere la propria realtà un posto aperto alla meravigliosa varietà della sua popolazione; poniamo il caso che vi siano delle famiglie composte da due papà e figlio/i, è chiaro che la possibilità che questi bambini rimangano orfani è molto alta e se questa è la conclusione più critica, anche solamente lasciare temporaneamente questi bambini a confrontarsi con delle nuove vite senza nessuna figura di riferimento al pari di un genitore è sicuramente destabilizzante e crea un divario tra famiglia di serie A e di serie B. Il lavoro fatto dagli psicologi è sicuramente un grande strumento per la ripresa di una routine e la costruzione di una nuova vita ma la vicinanza genitoriale va ben oltre qualsiasi studio.

I diritti della comunità LGBT+ a causa della guerra stanno velocemente regredendo, chi fugge dall’Ucraina non sa in quale luogo arriverà e come verrà accolto, ricordiamo la presenza in Polonia di luoghi completamente “no gay zone” e la legge antigay attuata nelle scuole che vieta espressamente di trattare temi relativi alla comunità LGBT+, è chiaro che l’accoglienza, in questo paese, appare tutt’altro che aperta. Anche la Romania, per quanto negli ultimi anni sia stata soggetto di uno sviluppo notevole, non è ancora completamente priva di giudizi, infatti nelle città più piccole e periferiche è molto facile incontrare una mentalità chiusa e fortemente contrapposta a quella di realtà più grandi come Bucarest.

La Moldavia è fortemente limitata nelle decisioni e leggi che hanno come protagonista la comunità LGBT+ a causa della religione ortodossa che è molto conservatrice, proprio per questo motivo vi sono ancora molti divieti come, per esempio, quello riferito alla propaganda omosessuale.

La situazione di questi paesi, in cui si rifugiano la maggior parte dei profughi ucraini, fa ben comprendere le grandi preoccupazioni che vi sono nei confronti di queste persone che non solo sono destabilizzati dalla guerra ma devono fare anche i conti con dei diritti umani che ormai dovrebbero essere inviolabili in ogni parte del mondo. 

I rifugiati però non sono solo espatriati, alcuni sono rimasti lì per coraggio o per paura di quello che il mondo li riserva e questo comporta una apprensione anche per l’approccio di Putin nei confronti della comunità LGBT+ che sappiamo essere non benevolo ed inoltre non tutta la comunità è espatriata molti sono rimasti per combattere con il rischio di vivere soprusi da parte delle milizie russe.

La guerra sta ponendo l’attenzione su tutte le problematiche sociali che ancora sono presenti sul nostro Pianeta e sta portando la distruzione non solo di vittime, ambiente, cultura ma anche dei diritti inviolabili di un essere umano.

Immagine di copertina: Non violence photo created by freepik – www.freepik.com

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