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Gibellina: da città distrutta a simbolo di Land Art

Nel 1986 nella notte che andava tra il 15 e il 16 gennaio, Gibellina una città siciliana nella Valle del Belice venne distrutta a causa di diverse scosse sismiche molto forti che oltre a radere al suolo la città misero alla luce un lato problematico delineato dalla impreparazione e da una grande mancanza di volontà nel far rifiorire questo territorio, infatti molti locali spaventati dalla mancanza possibilità di futuro, lo abbandonarono. A pochi mesi di distanza dalla catastrofe il sindaco Ludovico Corrao volle dare una svolta alla città, ridandole un volto a pochi chilometri di distanza dalle macerie causate dal terremoto, in quanto sosteneva che replicare una città che fin dal principio ha vissuto di grandi problematiche sarebbe stato un voler continuare a vivere nelle condizioni a cui si era stati sempre abituati. 

Gibellina sarebbe così diventata una città nuova e interamente ricostruita seguendo le direttive del senso estetico e funzionale dell’arte; infatti, vennero chiamati artisti e architetti nazionali e internazionali con l’intento di trasformare la città di Gibellina in un simbolo di speranza. La scelta di questa operazione fu fortemente criticata da diverse figure come giornalisti, politici, storici dell’arte ma anche li stessi artisti e architetti sostenendo che non fosse compito dell’arte andare a sopperire le catastrofi ambientali che avevano travolto la città di Gibellina; infatti vennero concretizzate poche opere d’arte che a causa della mancanza dei fondi non risultano ancora oggi completate. Fortunatamente, però tra i massimi esponenti dell’arte italiana del fine 900 ci fu un artista che fin dagli inizi della sua carriera, ha trovato interessante condurre degli studi artistici riconducibili a quello che è stato definito come movimento di “Land Art”, l’arte della Terra che ha come principale materia di studio la natura, dallo spazio incontaminato agli spazi urbani; il suono nome era Alberto Burri e realizzò per Gibellina quella che è stata definita secondo la critica, la più grande opera di non-architettura Europea della storia dell’arte contemporanea. Il nome dell’opera è Il Grande Cretto e nasce dall’interesse per l’artista nel voler sigillare per sempre la storia della città di Gibellina tanto da realizzare “una armatura” composta da 122 blocchi di cemento che dovevano proteggere le rovine della città sottostante, potrebbe non apparire ben chiaro al fruitore dell’opera la motivazione per cui una città che punta alla rinascita ha bisogno di “sigillare” le sue rovine, la risposta invece è più semplice di quanto possa sembrare: l’artista ha voluto ricalcare un lato dell’Italia che è incapace di ricostruire facendo riferimento a tutti gli oppositori della rinascita di Gibellina ma che è capace di cementificare i territori. Sicuramente questa opera appare un grande simbolo per la città ma anche un grande incisivo di protesta legato alla sostenibilità sociale, l’abbandono dei territori e la cementificazione urbana.

Immagine di copertina: Contour background vector created by rawpixel.com – www.freepik.com

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