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Don’t look up! La nostra “cometa” è il cambiamento climatico.

Le temperature record di questa estate infuocata nell’emisfero boreale; i fenomeni siccitosi e la conseguente crisi idrica che inaridiscono i nostri campi e mettono in ginocchio le nostre città; precipitazioni estreme che lasciano scie di distruzione e favoriscono il dissesto idrogeologico che già minaccia gran parte del territorio nazionale; poi ancora gli incendi e tanto, tanto altro. Di fronte a una situazione che vede crescere di anno in anno la sua drammaticità, chi governa è tenuto a dare delle risposte concrete guidando il Paese con politiche che favoriscano una rapida inversione di tendenza, creando un modello o diventando una best practice a livello internazionale.

Nei fatti le cose stanno andando molto diversamente. Nonostante sia lampante lo stravolgimento climatico globale si sceglie, come nel noto film di Adam McKay, di “non guardare in alto”.

Anche se l’Unione Europea sollecita, talvolta anche energicamente, l’Italia e tutti gli Stati membri ad adeguamenti normativi per tutelare l’ambiente, il recepimento di importanti Direttive, frutto di un difficile lavoro di mediazione tra i Paesi, è spesso lungo e non libero da interpretazioni che tendono ad allargare le maglie di disposizioni ritenute troppo restrittive. Inizia così un circolo vizioso fatto di escamotage, deroghe, ritardi, talvolta arrivando a procedure di infrazione e chi più ne ha più ne metta pur di “guadagnare” tempo. Un tempo che in realtà stiamo sottraendo alle future generazioni perché quando una Direttiva o un Accordo / Protocollo internazionale per la tutela l’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici, s’impantana, come l’Accordi di Parigi, ne usciamo tutti sconfitti.

È possibile cambiare rotta? Certo, con il buon governo. Porto l’esempio della Direttiva 2001/77/CE con la quale l’Unione Europea chiedeva agli Stati membri di promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e di ridurre gli ostacoli normativi e burocratici che ne rallentavano la diffusione. Dopo anni di impasse, intenzionale o non che fosse, in Italia solo nel 2007, con il “Secondo conto energia” fortemente voluto dall’allora Ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, si è usciti dalla “palude” e finalmente è iniziata l’era del solare anche nel nostro Paese dove, in 10 anni, si è passati da 50 megawatt (nel 2006) a circa 20.000 megawatt (nel 2016).


Tanti i provvedimenti normativi, le strategie e i piani nazionali ma anche Regolamenti, Direttive comunitarie e altri atti adottati per fare lenti passi in avanti lungo l’interminabile strada della decarbonizzazione con la speranza, chi vivrà vedrà, di assistere alla completa transizione energetica, auspicabilmente prima dell’estinzione umana.

La nostra “cometa” è già in arrivo, è il cambiamento climatico che di anno in anno miete sempre più vittime e costringe interi popoli a migrare in zone più vivibili. Se aggiungiamo anche la guerra tra Russia e Ucraina che ha messo il nostro Paese con le spalle al muro e il governo in affanno per cercare di trovare onerose soluzioni temporanee per garantire un adeguato approvvigionamento di gas, solo dei pazzi non capirebbero che il momento di agire è adesso e non con timide politiche frutto di infinite mediazioni anche con gli stakeholders delle fonti fossili. Occorre scegliere una volta per tutte di favorire una vera e veloce transizione energetica ed ecologica, sostenendo solo ed esclusivamente il mondo delle imprese che operano nel totale rispetto dell’ambiente.

Di best practice italiane, per avvicinarci a quella tanto anelata “indipendenza energetica”, ne abbiamo e sono capaci di produrre energia green tutta made in Italy. Ricordiamo Renexia che ha costruito a Taranto il primo parco eolico offshore italiano “Beleolico” e ha progettato un grande impianto fotovoltaico sui tetti dell’Interporto d’Abruzzo. Poi ancora il Gruppo Gesenu che ha ricoperto di fotovoltaico i padiglioni della Fiera di Rimini; il “Progetto Agnes” della Saipem in Romagna, ma anche le Comunità Energetiche che si stanno finalmente formando e gli oltre 3500 comuni italiani che fanno uso solo di energia rinnovabile e la cui produzione supera i fabbisogni delle famiglie residenti.

Insomma, un’altra Italia, rinnovabile ed EcoDigital è possibile. Basta solo sceglierla.

Immagine di copertina: Foto di A Owen da Pixabay

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